Lo so, non va bene, ma questa voglia mi ha presa di brutto oggi.
Una sigaretta da rigirarmi fra le mani, una pausa dal delirio, il movimento lento, rituale, il fumo da rilasciare piano.
NO.
Meglio scrivere: stacco così.
Giacomo Balla non mi è mai piaciuto. Il Futurismo mi urta, mi graffia, mi strattona. Era il suo intento del resto: aveva una forte matrice violenta, materiale.
Allora pongo uno sguardo a-storico/a-politico alle opere del pittore esposte a Palazzo Reale.
E qualcosa mi arriva.
La sorella del mio uomo commenta "non vedo la poesia".
Caspita! E' tutto il contrario: Balla è un poeta a tutti gli effetti.
Poesia è costringere in parole, in segni, emozioni ed idee immateriali. E' dare una forma diversa all'intangibile.
Il segno. Il segno di una parola o il tratto di un pennello.
Difficilissimo diventa poi rendere l'idea disegno. L'idea di rumore. L'idea di velocità, di luce.
Il reale che circonda Balla ed il suo tempo è descritto entro il limite della cornice in volumi/colori che rimandano a sensazioni.
Sono i calligrammi di Apollinaire, è il "Ceci n'est pas un pipe" di Magritte.
La scomposizione, la sinestesia, il dire ciò che si vede, il vedere ciò che si sente lasciandosi compenetrare dalla realtà.
Guardavo i suoi quadri e mi pareva di sentire l'anima dell'artista farsi sottile, trapassata dal reale, scomposta, come la luce attraverso un prisma, nei suoi colori.
Insomma, l'ho trovato geniale.
Ancora rimango ostile al movimento in sè - non ci posso far nulla - ma mi ritrovo rapita ed affascinata da chi non prendevo nemmeno in considerazione.
Adoro cambiare idea e ritrovarmi diversa.
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