lunedì 22 aprile 2013

la bellezza è anche estetica, del resto

Sabato mio padre ha ricevuto una telefonata inattesa: dopo 31 anni, di punto in bianco, la coppia che avevano incontrato in viaggio di nozze e che avevano visto l'ultima volta in occasione della mia nascita, li ha chiamati. Così, per sapere come stavano.
Per me questi sono come piccoli miracoli che allargano il cuore in un sorriso genuino.

Stamattina ho deciso di farmela a piedi dalla stazione della metro all'ufficio. Non è molto, circa un chilometro, ma con andatura lenta ci ho comunque messo un quarto d'ora.
Sono passata accanto ad una casa di cui rimaneva solo la facciata: sembrava il set di un film western, in cui il saloon in realtà è solo cartapesta sottile.
Poco più avanti, dalla cancellata di un condominio, spuntava una lieve fila di glicine. Ho cercato di carpirne il profumo, ma forse era già appassito.
Nello stesso cortile una palma ed un albero fiorito, di rosa vestito, sembrano quasi abbracciarsi: la strana coppia.


A volte, soprattutto noi milanesi, dimentichiamo quello che ci circonda, schiavi della fretta, senza alcun interesse per la nostra città.

Non so perchè, ma tempo fa ho acquistato un buono per un corso di autotrucco. Lo organizzano vicino a casa mia, per cui la mia pigrizia è sedata sul nascere.
Mi aggiro fra i loft recuperati nelle vecchie fabbriche e mi sembra di stare a Londra o in un Paese straniero.


Dentro al centro mi sento a disagio. Donne sulla quarantina che si fanno truccare e sistemare, padrone dell'arte dell'apparire che spesso denigro, forse anche perchè mi sento inadeguata.
Viene il mio turno, eseguo, con una certa malagrazia e poco mestiere, gli stessi gesti che fa la truccatrice su metà volto. Al termine sono un'altra Elisa.



A volte dimentico che si può esser belle anche così, che non è solo questione di testa, di cultura; la bellezza, a volte - soprattutto, diciamola tutta - è anche estetica.
Così ieri, dopo la visita ad una bella mostra su Doisneau, mi sono concessa anche l'acquisto di un po' di trucchi che non so se userò mai, ma comunque mi ricordano che anch'io faccio parte dell'universo femminile e qualche volte dovrei ricordarlo anche al resto del mondo.

venerdì 5 aprile 2013

Il mio nuovo ufficio

Scendo dal treno. La stazione della metropolitana è piccola, periferica. Delle due presenti funziona una sola scala mobile, ma ormai ho capito qual'è e mi dirigo subito verso l'uscita in fondo.I primi giorni dovevo fare le scale normali, erano guaste entrambe.
Ogni mattina penso a Dante, alla sua "e poi uscimmo a rimirar le stelle", quando faccio capolino da sottoterra.
E' una brutta giornata, piove. Si sa, "Aprile, ogni giorno un barile", ma qui sembra Novembre e anche dentro, da un paio di settimane, mi sento in pieno inverno.
Apro l'ombrello, quello nuovo che ho comprato sulle bancarelle del mercato ligure, durante questa Pasqua di sole meraviglioso che è già solo un ricordo.
Mi incammino, attraverso la strada facendo lo slalom fra un camion ed un motorino incagliati nel traffico milanese come sempre impazzito causa pioggia.
Imbocco la stradina stretta verso la fermata dell'autobus. E' il terzo mezzo che devo prendere per arrivare nel nuovo ufficio, sono già in ballo da 50 minuti.
Passo accanto al giardinetto posteriore di quella che mi pare possa essere una scuola o una piccola biblioteca. E' grazioso, ci sono una forsizia, qualche albero che non conosco, un angolino di verde.
Passo oltre, vedo gente in attesa alla fermata, significa che l'82 non è ancora passata e conviene muoversi se non voglio che mi sfugga da sotto il naso.
Oltrepasso la panetteria con in vetrina le ciambelle che ho comprato per i colleghi il primo giorno dopo il trasloco: un canto delle sirene mangereccio che non ascolto.
Il display alla fermata indica 6 minuti di attesa. Chiudo l'ombrello riparandomi sotto la tettoia della fermata,  ma il vento spruzza la pioggia sugli occhiali e tutto il mondo mi appare velato di lacrime di cielo.
La piazza è pure carina tutto sommato. C'è una panetteria che ha inserito un'emoticon nell'insegna.
Mi torna alla mente il nome di una gelateria che ho intravisto ieri: "Spread".
L'82 si palesa all'improvviso, sbucando veloce da dietro la curva. Ci buttiamo tutti dentro, mi si appannano subito gli occhiali.
Sono solo 3 fermate, ma c'è un po' di traffico, si va avanti a singhiozzo.
Scendo davanti alla bocciofila, sempre chiusa al mattino, ed apro l'ombrello viola. Ne avevo uno arcobaleno che adoravo, ma s'è rotto. L'ho lasciato nel portaombrelli dell'altro ufficio, come un mazzolino di fiori colorato, un pezzettino di me che presto verrà buttato, lo so.
Attraverso la strada dal distributore.


In fondo alla strada l'edificio nuovo, ancora praticamente deserto, dove ci siamo trasferiti.
Affretto il passo davanti ai passi carrai di alcuni cantieri dove sostano i camion in attesa di entrare.
Spingo il portone di vetro dell'ingresso, in quel rettangolo rosso con la lettere argentate sopra DM27: le iniziali della via ed il numero civico della mia nuova prigione.
Dentro il silenzio del cortile, alienante nella sua assenza di vita, quasi mi piace.
Ci sono ulivi bellissimi e camelie in fiore. Piove, ma la bellezza permane e cerco di farmi contagiare.
Apro la porta e fa caldo, il che non è scontato, date le bizze del nuovo impianto di riscaldamento.
Chiudo il mondo all'esterno, tiro su la tapparella ed accendo il pc.
Odio il nuovo ufficio, ma oggi è venerdì e domani andrà meglio.
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