venerdì 5 aprile 2013

Il mio nuovo ufficio

Scendo dal treno. La stazione della metropolitana è piccola, periferica. Delle due presenti funziona una sola scala mobile, ma ormai ho capito qual'è e mi dirigo subito verso l'uscita in fondo.I primi giorni dovevo fare le scale normali, erano guaste entrambe.
Ogni mattina penso a Dante, alla sua "e poi uscimmo a rimirar le stelle", quando faccio capolino da sottoterra.
E' una brutta giornata, piove. Si sa, "Aprile, ogni giorno un barile", ma qui sembra Novembre e anche dentro, da un paio di settimane, mi sento in pieno inverno.
Apro l'ombrello, quello nuovo che ho comprato sulle bancarelle del mercato ligure, durante questa Pasqua di sole meraviglioso che è già solo un ricordo.
Mi incammino, attraverso la strada facendo lo slalom fra un camion ed un motorino incagliati nel traffico milanese come sempre impazzito causa pioggia.
Imbocco la stradina stretta verso la fermata dell'autobus. E' il terzo mezzo che devo prendere per arrivare nel nuovo ufficio, sono già in ballo da 50 minuti.
Passo accanto al giardinetto posteriore di quella che mi pare possa essere una scuola o una piccola biblioteca. E' grazioso, ci sono una forsizia, qualche albero che non conosco, un angolino di verde.
Passo oltre, vedo gente in attesa alla fermata, significa che l'82 non è ancora passata e conviene muoversi se non voglio che mi sfugga da sotto il naso.
Oltrepasso la panetteria con in vetrina le ciambelle che ho comprato per i colleghi il primo giorno dopo il trasloco: un canto delle sirene mangereccio che non ascolto.
Il display alla fermata indica 6 minuti di attesa. Chiudo l'ombrello riparandomi sotto la tettoia della fermata,  ma il vento spruzza la pioggia sugli occhiali e tutto il mondo mi appare velato di lacrime di cielo.
La piazza è pure carina tutto sommato. C'è una panetteria che ha inserito un'emoticon nell'insegna.
Mi torna alla mente il nome di una gelateria che ho intravisto ieri: "Spread".
L'82 si palesa all'improvviso, sbucando veloce da dietro la curva. Ci buttiamo tutti dentro, mi si appannano subito gli occhiali.
Sono solo 3 fermate, ma c'è un po' di traffico, si va avanti a singhiozzo.
Scendo davanti alla bocciofila, sempre chiusa al mattino, ed apro l'ombrello viola. Ne avevo uno arcobaleno che adoravo, ma s'è rotto. L'ho lasciato nel portaombrelli dell'altro ufficio, come un mazzolino di fiori colorato, un pezzettino di me che presto verrà buttato, lo so.
Attraverso la strada dal distributore.


In fondo alla strada l'edificio nuovo, ancora praticamente deserto, dove ci siamo trasferiti.
Affretto il passo davanti ai passi carrai di alcuni cantieri dove sostano i camion in attesa di entrare.
Spingo il portone di vetro dell'ingresso, in quel rettangolo rosso con la lettere argentate sopra DM27: le iniziali della via ed il numero civico della mia nuova prigione.
Dentro il silenzio del cortile, alienante nella sua assenza di vita, quasi mi piace.
Ci sono ulivi bellissimi e camelie in fiore. Piove, ma la bellezza permane e cerco di farmi contagiare.
Apro la porta e fa caldo, il che non è scontato, date le bizze del nuovo impianto di riscaldamento.
Chiudo il mondo all'esterno, tiro su la tapparella ed accendo il pc.
Odio il nuovo ufficio, ma oggi è venerdì e domani andrà meglio.

2 commenti:

Veggie ha detto...

I nuovi inizi sono sempre difficili... ma poi ci prenderai la mano, e diventerà la tua nuova normalità...

Signor Ponza ha detto...

Credo proprio non ci sia niente di più traumatico che cambiare l'ambiente di lavoro. Ancora di più quando si cambia proprio lavoro, ma anche in caso contrario vengono meno abitudini, certezze, punti di appoggio. In bocca al lupo!

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