venerdì 8 gennaio 2010

Dubito ergo sum

"(...) Ciò che siamo abituati a chiamare “democrazia” è infatti nient’altro che una peculiare modalità di gestione del potere che le élite hanno sviluppato nel momento in cui i mezzi di controllo di massa (giornali, radio, TV, tecniche di indottrinamento psicologico collettivo) hanno raggiunto un livello di raffinatezza e di sviluppo tali da consentire ai dominanti di sfruttare le piene potenzialità della nuova architettura politica, senza correre il rischio di perdere quello stretto controllo sui sudditi che sta alla base della loro permanenza al vertice. La democrazia garantisce alle élite il vantaggio di una pressoché totale deresponsabilizzazione. Qualsiasi azione o decisione dannosa per i sudditi, un tempo imputabile a incapacità e inadeguatezza delle élite, risulta ora addebitabile ai sudditi stessi, i quali – questo è ciò che essi devono credere – hanno conferito essi stessi alla classe dirigente la delega di rappresentanza. Se gli eletti si rivelano inadatti allo scopo, la colpa è degli elettori che hanno scelto male, o che non sono stati sufficientemente vigili, o che non si sono informati abbastanza. La democrazia trasforma magicamente la spada di Damocle di una pubblica insurrezione in una applicazione del “divide et impera” che risulta estremamente vantaggiosa per i dominanti. I sudditi, infatti, posti di fronte alla manifesta corruzione ed autoreferenzialità dei loro rappresentanti, non penseranno più di unire le proprie forze per spodestarli, come avveniva nei tempi felici della monarchia, in cui il sovrano assumeva sopra di sé i benefici, ma anche i rischi della sua carica; in democrazia, al contrario, i subordinati accuseranno solo se stessi, o più spesso l’opposta fazione politica, del cattivo andamento delle cose.
(...)
Per poter funzionare secondo gli schemi previsti, questo sistema necessita di cittadini che siano capaci di contare al massimo fino a due. I mezzi di comunicazione si occupano infatti di costruire intorno alle loro vittime una realtà binaria, in cui il pensiero e la percezione del mondo vengono indirizzati su una categorizzazione fatta di dualità antitetiche, in mezzo alle quali c’è il nulla. Ad esempio, un cittadino potrà essere “di destra” o “di sinistra”, “fascista” o “comunista”, “berlusconiano” o “antiberlusconiano”, “pacifista” o “guerrafondaio”; ma in mezzo a questi opposti non è consentita (perché non prevista dalla logica mediatica) nessun tipo di riflessione critica. Non è possibile rifiutare i concetti di “destra” e “sinistra”, di “fascismo” e “comunismo”, come categorie insulse e decedute ormai sessant’anni or sono, per ragionare su forme inedite di approccio ai problemi sociali."

Gianluca Freda
l'articolo esteso lo trovate QUI

Non so se è un mero esercizio semantico ormai o se siamo di fronte a qualcosa di più concreto.
So che in effetti il mondo come lo conosciamo richiede nuovi punti di vista, una neolingua paventata ma che ci aiuti a ridisegnare i confini di questa Realtà a volte indecifrabile.
Non mi piace il complottismo, ma nemmeno la serena accettazione di qualsiasi notizia e fatto.
Il punto è sempre il medesimo: COME informarsi oggi che la credibilità degli intellettuali vacilla? Oggi che non esiste più un vero riferimento, ma dobbiamo essere sempre portati a dubitare e a porci domande?
Il mondo complesso nel quale viviamo però non è pane per i denti di tutti.
Io faccio fatica, lo ammetto.
Ma le domande me le pongo sempre.
Per le risposte, spero, ci sarà tempo.

1 commento:

Veggie ha detto...

A volte porsi domande è più importante che trovare le risposte... Perché significa che non ci si rassegna, non si accetta passivamente che le cose ci scorrano davanti agli occhi, ma si ha ancora la curiosità e la spinta di guardare oltre rispetto agli schemi predefiniti che la società dispera per noi...

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