LaEli qualche anno fa
Devo fare qualcosa.
Sto impazzendo.
Qualcuno è andato sino in fondo, io appoggio la lama sul polso e mi immagino quel corpo estraneo, duro, che avanza e scava la pelle, che lacera i tessuti. Non ne avrò mai il coraggio. Si può sentirsi pavidi xkè non si ha il coraggio di togliersi di mezzo? Che cazzata.
Scrivevo così sabato 12 novembre 2005.
Da un po' ne volevo parlare, ma non so quanto possa essere utile.
Forse è il fatto di leggere Veggie, di sentire la sua speranza ed energia nella lotta contro i DCA, che mi è saltato in mente di parlare del dolore, del MIO dolore e del modo di affrontarlo.
4 anni fa ero un'altra persona. C'era laEli che leggete oggi e c'era anche un'ombra scura, codarda e cocciuta, che non mi abbandonava.
Ho sempre avuto il difetto del vittimismo ed una propensione al melodramma e questo ha certamente influenzato la mia fascinazione nei confronti del suicidio e dell'autolesionismo.
A 13 anni volevo buttarmi giù dal balcone di casa. Ho anche sistemato la sedia fuori, ci sono salita, ma poi, ovviamente, sono anche scesa e l'ho rimessa a posto, in sala.
I problemi veri arrivano quando inizi a nasconderli, quando l'ostentazione cede il passo alla bugia, all'omissione.
Ho sofferto di una certa forma di depressione. Nulla di clinico, almeno credo, ma potente.
In pochi mesi ho perso quasi 10 chili, ho allontanato gli amici, ho fatto scelte che molti hanno reputato "sbagliate".
Assorbita da un'altalenante relazione impossibile, durata più di 3 anni, ho iniziato a soffrire di "attacchi di dolore": ciò che provavo era così immenso, così straziante, che non sapevo come farlo uscire. Ho iniziato in modo blando, mi prendevo a schiaffi da sola, in camera, seduta di fronte allo specchio dandomi della stupida, in un vano ed assurdo tentativo di ritornare ad essere l'Elisa di prima, quella amata e rispettata da mamma e papà.
I tagli sono arrivati dopo. Nulla di serio pensavo, prendevo spille da balia, aghi da cucito, e incidevo la pelle.
Cosa può fare uno spillo? Non era un problema reale per me.
Prendevo il mio dolore urlante, incontenibile e lo catalizzavo nella punta di uno spillo; lo appoggiavo sul braccio, premevo forte e poi giù, premendo sempre di più, strisce, geroglifici, nella carne.
I segni mi son durati anni: sottili scie bianche che accarezzavo quasi con nostalgia.
Non volevo essere vista a casa. In giro non mi importava, dei colleghi non mi curavo, ma a casa no, a casa mi coprivo.
Non mangiavo: questo preoccupava i miei, non le maniche lunghe in estate.
Mi piaceva l'idea che qualcosa di intangibile ed immenso come il mio dolore, potesse riassumersi in pochi millimetri appuntiti.
Ho smesso dopo circa un anno se non ricordo male.
In tutto questo tempo solo un collega ha cercato di indagare sulla natura di quei segni ed ancora lo ringrazio.
Proprio sul blog di Veggie, rispondendo ad alcune ragazze, cercavo di riassumere il mio percorso, il COME sia uscita dal circolo vizioso in cui mi crogiolavo.
Perchè il dolore dà dipendenza purtroppo ed un drogato resta tale a vita.
Eppure sono qui, sono un'altra persona ancora.
A 17 anni scrivevo sul mio diario, dopo la fine del Primo Amore:
"l'uomo può sopportare grandi dolori, il difficile è superarli".
Sono ancora convinta di ciò, come sono convinta che ad un certo punto, se vuoi salvarti, se vuoi superare la tua sofferenza (QUALSIASI sofferenza), devi capire alcune cose:
1) il Passato non torna. Ciò che è stato ci definisce, ma non è più ciò che siamo e possiamo scegliere, consapevolmente, di essere ALTRO;
2) il nostro dolore dobbiamo accettarlo, ma non viverlo passivamente facendoci sovrastare da esso. Accettare il dolore significa riporlo nel Passato per essere liberi di vivere il presente;
3) bisogna AGIRE. Molti mi dicevano di re-agire, ma mi pareva di combattere contro i mulini a vento perchè non sapevo dare forma, voce e corpo ai miei problemi e quindi non facevo nulla. Poi ho capito che agendo, in qualsiasi direzione, e migliorandomi lavorando su me stessa, imparando a stare da sola senza però farmi troppe pippe mentali, avrei potuto cambiare strada, allontanarmi dalla china lungo la quale stavo scivolando da anni.
Ho puntato i piedi ed ho detto basta, come quando ho smesso di fumare.
La volontà è tutto.
Mia nonna me lo dice sempre ed ha ragione: se vogliamo davvero qualcosa possiamo farla.
Io ero nella disperanza, nella totale mancanza di un raggio di sole. Non vedevo nulla di buono dentro di me che valesse la pena d'essere salvato.
Il tempo ha fatto molto, lo riconosco, ma c'è stato un momento preciso in cui anche io ho detto BASTA.
Scrivevo poesie. Piacevano a molti ed adoravo scriverle, ma vi ho rinunciato perchè ero troppo concentrata su di me, sul sondare l'origine del mio male, i suoi meccanismi.
Questa è stata la rinuncia più grande, quella che ancora rimpiango a volte: ho lasciato indietro una parte di me, una parte importante, e l'ho archiviata nel mio passato per sopravvivere.
Un giorno magari tornerò a scrivere, chissà..ma ora sono quacos'altro perchè HO VOLUTO essere qualcos'altro e ho scelto di continuare su questa strada.
Oggi so che non sono migliore nè peggiore di molti altri ed ho ancora milioni di difetti, ma so anche che, nel momento di buio, ho avuto la forza di accendere la luce, e sono stra convinta che chiunque abbia tale facoltà.
Sto impazzendo.
Qualcuno è andato sino in fondo, io appoggio la lama sul polso e mi immagino quel corpo estraneo, duro, che avanza e scava la pelle, che lacera i tessuti. Non ne avrò mai il coraggio. Si può sentirsi pavidi xkè non si ha il coraggio di togliersi di mezzo? Che cazzata.
Scrivevo così sabato 12 novembre 2005.
Da un po' ne volevo parlare, ma non so quanto possa essere utile.
Forse è il fatto di leggere Veggie, di sentire la sua speranza ed energia nella lotta contro i DCA, che mi è saltato in mente di parlare del dolore, del MIO dolore e del modo di affrontarlo.
4 anni fa ero un'altra persona. C'era laEli che leggete oggi e c'era anche un'ombra scura, codarda e cocciuta, che non mi abbandonava.
Ho sempre avuto il difetto del vittimismo ed una propensione al melodramma e questo ha certamente influenzato la mia fascinazione nei confronti del suicidio e dell'autolesionismo.
A 13 anni volevo buttarmi giù dal balcone di casa. Ho anche sistemato la sedia fuori, ci sono salita, ma poi, ovviamente, sono anche scesa e l'ho rimessa a posto, in sala.
I problemi veri arrivano quando inizi a nasconderli, quando l'ostentazione cede il passo alla bugia, all'omissione.
Ho sofferto di una certa forma di depressione. Nulla di clinico, almeno credo, ma potente.
In pochi mesi ho perso quasi 10 chili, ho allontanato gli amici, ho fatto scelte che molti hanno reputato "sbagliate".
Assorbita da un'altalenante relazione impossibile, durata più di 3 anni, ho iniziato a soffrire di "attacchi di dolore": ciò che provavo era così immenso, così straziante, che non sapevo come farlo uscire. Ho iniziato in modo blando, mi prendevo a schiaffi da sola, in camera, seduta di fronte allo specchio dandomi della stupida, in un vano ed assurdo tentativo di ritornare ad essere l'Elisa di prima, quella amata e rispettata da mamma e papà.
I tagli sono arrivati dopo. Nulla di serio pensavo, prendevo spille da balia, aghi da cucito, e incidevo la pelle.
Cosa può fare uno spillo? Non era un problema reale per me.
Prendevo il mio dolore urlante, incontenibile e lo catalizzavo nella punta di uno spillo; lo appoggiavo sul braccio, premevo forte e poi giù, premendo sempre di più, strisce, geroglifici, nella carne.
I segni mi son durati anni: sottili scie bianche che accarezzavo quasi con nostalgia.
Non volevo essere vista a casa. In giro non mi importava, dei colleghi non mi curavo, ma a casa no, a casa mi coprivo.
Non mangiavo: questo preoccupava i miei, non le maniche lunghe in estate.
Mi piaceva l'idea che qualcosa di intangibile ed immenso come il mio dolore, potesse riassumersi in pochi millimetri appuntiti.
Ho smesso dopo circa un anno se non ricordo male.
In tutto questo tempo solo un collega ha cercato di indagare sulla natura di quei segni ed ancora lo ringrazio.
Proprio sul blog di Veggie, rispondendo ad alcune ragazze, cercavo di riassumere il mio percorso, il COME sia uscita dal circolo vizioso in cui mi crogiolavo.
Perchè il dolore dà dipendenza purtroppo ed un drogato resta tale a vita.
Eppure sono qui, sono un'altra persona ancora.
A 17 anni scrivevo sul mio diario, dopo la fine del Primo Amore:
"l'uomo può sopportare grandi dolori, il difficile è superarli".
Sono ancora convinta di ciò, come sono convinta che ad un certo punto, se vuoi salvarti, se vuoi superare la tua sofferenza (QUALSIASI sofferenza), devi capire alcune cose:
1) il Passato non torna. Ciò che è stato ci definisce, ma non è più ciò che siamo e possiamo scegliere, consapevolmente, di essere ALTRO;
2) il nostro dolore dobbiamo accettarlo, ma non viverlo passivamente facendoci sovrastare da esso. Accettare il dolore significa riporlo nel Passato per essere liberi di vivere il presente;
3) bisogna AGIRE. Molti mi dicevano di re-agire, ma mi pareva di combattere contro i mulini a vento perchè non sapevo dare forma, voce e corpo ai miei problemi e quindi non facevo nulla. Poi ho capito che agendo, in qualsiasi direzione, e migliorandomi lavorando su me stessa, imparando a stare da sola senza però farmi troppe pippe mentali, avrei potuto cambiare strada, allontanarmi dalla china lungo la quale stavo scivolando da anni.
Ho puntato i piedi ed ho detto basta, come quando ho smesso di fumare.
La volontà è tutto.
Mia nonna me lo dice sempre ed ha ragione: se vogliamo davvero qualcosa possiamo farla.
Io ero nella disperanza, nella totale mancanza di un raggio di sole. Non vedevo nulla di buono dentro di me che valesse la pena d'essere salvato.
Il tempo ha fatto molto, lo riconosco, ma c'è stato un momento preciso in cui anche io ho detto BASTA.
Scrivevo poesie. Piacevano a molti ed adoravo scriverle, ma vi ho rinunciato perchè ero troppo concentrata su di me, sul sondare l'origine del mio male, i suoi meccanismi.
Questa è stata la rinuncia più grande, quella che ancora rimpiango a volte: ho lasciato indietro una parte di me, una parte importante, e l'ho archiviata nel mio passato per sopravvivere.
Un giorno magari tornerò a scrivere, chissà..ma ora sono quacos'altro perchè HO VOLUTO essere qualcos'altro e ho scelto di continuare su questa strada.
Oggi so che non sono migliore nè peggiore di molti altri ed ho ancora milioni di difetti, ma so anche che, nel momento di buio, ho avuto la forza di accendere la luce, e sono stra convinta che chiunque abbia tale facoltà.
1 commento:
E' bellissimo il tuo blog!
Ma in più, questo post in particolare.. mi ha fatto pensare a tante cose che anch'io pensato - e a come è diverso come penso ora. Un abbraccio, da Mari
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