giovedì 5 febbraio 2009

Qualche anno fa ho passato un periodo che facevo entraEDesci dagli ospedali. Stavo male e non si capiva cos'avessi.
Per poco più di una settimana mi hanno ricoverata in un reparto di neurologia.
Ricordo ancora i volti delle persone che ho incontrato.
Il sig. Nicola che cantava "O' sole mio" a squarciagola, Alessandro che vagava per il reparto e urlava forte la notte, Fabrizio che girava con la radio accesa sulle spalle e "il Fuma" che sarebbe poi diventato la mia prima storia importante.
E poi c'era Francesca: aveva 15 anni e veniva dalla Sicilia. Un ictus le aveva paralizzato tutta la parte destra del corpo e quando parlava non si capiva nulla, ma aveva due occhi enormi e stava sempre con noi.
Era strano per me capire come il dolore accomunasse tutti noi, giovani e vecchi, ognuno diverso eppure tutti nella stessa barca, un po' alla deriva.
Capii perfettamente che un ospedale NON è il posto adatto per guarire. Sentivo uno strano senso di ribellione ed il bisogno disperato di riprendere il controllo sul mio corpo.
Per fortuna alla fine sono guarita ed ho anche incontrato, proprio lì, il primo amore.
Però mi è rimasta questa "sensibilità" verso la sofferenza..è come se l'annusassi nei miei simili, come se solo chi ha sofferto possa davvero capirmi in nome di una consapevolezza diversa.
Non voglio dire che amo il dolore, solamente che lo capisco e non mi fa paura, anzi, mi piace guardarlo in faccia e ritrovarlo negli altri, in un'ombra leggera che passa sul viso e se ne va..ed io capisco che anche loro "sanno".

1 commento:

Veggie ha detto...

Mi hai fatto rabbrividire, leggendo questo post...
Io ho fatto 5 ricoveri in una clinica per DCA causa anoressia, quindi credo di poter capire perfettamente cosa intendi... Il dolore è una cosa che non si può dire a arole, eppure è una cosa che accomuna...
L'ho visto spesso nelle altre ragazze che, come me, hanno sofferto e stanno combattendo contro l'anoressia... L’anoressia non è un delirio di onnipotenza come tanti dicono, ma di impotenza. Io mi sono sentita impotente di fronte a tutto ed ho ristretto l’alimentazione perché mi restava il corpo come unico “oggetto” da manipolare, come unica arma da scagliare in faccia a volti disorientati per chiedere disperatamente un aiuto. Io amo la vita, ma non la conosco. So di amarla semplicemente perché capisco quanto farmi così male mi sia servito paradossalmente per difendermi, e difendersi è di per sé un atto di amore. Tu sei stata in un reparto di neurologia, ma non sei pazza. Forse, in un certo qual modo, mentre eri lì avresti tanto voluto esserlo... non sai quante volte mentre ero ricoverata avrei voluto che fosse davvero così semplice, che bastasse la pasticchina, che fossi sbagliata, punto, un errore clamoroso, il tumore di una società malata. Ma più mi guardavo intorno e più i pazzi mi sembravano fuori. Io amo la vita perché mi sono uccisa per proteggerla, per preservarla dalle mani di chi la voleva maciullare, devastare, violentare, distruggere, spezzettare, mordere. Mi ha delusa, mi ha straziata. Eppure, al di fuori di ogni struttura e di ogni etichetta, ho ancora voglia di combattere...
Spero di poter continuare a farlo con tutte coloro che "sanno" come noi...

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