Sistemavo vecchi files ed ho trovato quello che segue: due mie poesie dei vent'anni con l'analisi che ne era stata fatta dallo staff di un sito "letterario".
Perchè tante volte mi sono chiesta cos'avrebbero pensato i grandi del passato leggendo la critica dei posteri, la minuziosa autopsia dei loro versi. Beh, a me è stata fatta da viva e trovo divertente rileggerla.
La prima poesia è stata pubblicata in un'antologia del sito, la seconda aveva vinto un concorso interno ed era ispirata al libro di McCourt, "Le ceneri di Angela".
Ciò che mi è sempre piaciuto della poesia è il suo essere impalpabile e vaga nei contenuti e spesso, come nel caso dei miei versi sciolti, nella forma, ed il suo adattarsi alla vita di ognuno, il suo parlare una lingua universale, ma personalissima. Ecco quel che ne uscì:
MADRE
Ho molto da nascondere,
madre,
ai tuoi occhi di fede,
fissi nel mio petto.
Ho un'identità girovaga
che mi visita
quando ti presenti alla mia porta
e ti omaggia
di sorrisi e bugie.
Madre,
ho un cuore nero vagabondo
che colora queste notti
e mi tiene compagnia
se tu mi cerchi.
Ho pensieri cacofonici
aggrappati ad espressioni
che non mi apppartengono
e silenzi forzati per non dire l'odio.
No,
non odio PER te,
odio vano
per rabbia atteggiata.
Madre,
ho molto da nascondere
e tutto si rivela
a te che guardi, giudichi e vivi
fissandomi occhi di fede
nel petto.
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Quattro strofe dolorose e tormentate per una poesia che è quasi un'invocazione, un'implorazione d'amore sofferto ad una madre chiamata quasi ad ogni strofa: Ho molto da nascondere/madre; Madre/ho un cuore nero vagabondo; Madre/ho molto da nascondere, sostantivo dolce/amaro a costituire sempre, da solo, un singolo verso.
E tra dolcezza e amarezza si snodano versi lucidi e coscienti, intensi come solo l'amore di una figlia sa essere a volte e disperati come sordo rancore custodito dentro il cuore nero vagabondo di un'identità girovaga che, tra sorrisi e bugie dispensati quando ti presenti alla mia porta, si stringe ad aggrappare pensieri dissonanti, cacofonici, costretti dentro silenzi coartati per non dire l'odio che è odio vano/per rabbia atteggiata, anch'essa vana. E dentro questi versi, quasi in chiusa, c'è tutto il dolore, la lucida sofferenza, l'amore disperante di un cuore che continua a nascondere, a nascondersi ad occhi di fede fissi nel petto, occhi a cui tutto si rivela (ho molto da nascondere/e tutto si rivela/a te che guardi, giudichi e vivi).
E ciò che alla fine rimane è un forte senso di amarezza e l'ingombro di due occhi di fede fissi nel petto che vale sul petto, ma anche, e assai più dolorosamente, dentro il petto.
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Senza titolo
A misurare i passi
che allontanano l'infanzia,
unità non ne vedo
a colmare distanze
fra pianti e pugni chiusi.
Ad ancorare le origini
nei giorni dolorosi
m'insegnasti, madre,
e l'incedere occhi al mondo,
senza vergogna.
Ora restano
sparpagliati resti d'esistenza
nelle righe del ricordo,
orgoglio di nazione fenice
dalle ceneri del tuo grembo.
Analisi
Sembra mancare l'unità che definisca la quantità di tempo misurabile che porti dall'infanzia ad una consapevolezza adulta, dolorosa e rabbiosa delle proprie radici; sembra che la distanza sia indefinibile: come se non esistesse linea di demarcazione precisa tra l'"essere ora" e "l'essere stati", come se le due parti di uno stesso sé fossero ad un tempo lontanissime e sovrapponibili o come se il passaggio da una fase all'altra della propria esistenza, comportasse una distruzione dolorosa e consapevole, la scomposizione reiterata di un mosaico incerto di sensazioni: un fantomatico muro di Berlino personale da abbattere come condizione necessaria per un proseguio a testa alta e le cui radici siano comunque base, trampolino per un percorso futuro ed àncora per non perdere le tracce del proprio passato.
"Mi insegnasti, madre" dice l'autrice: e questo insegnamento diventa imperativo categorico, sottintende un "grazie" ed un rifiuto latente, rappresenta un percorso in qualche modo segnato, (subito?) un'eredità non del tutto accettata ma non discutibile. E la necessaria rinascita dalle ceneri materne e dalle proprie, fa sì che in qualche modo il ricordo sia falsato, scomposto (addomesticato?) sacrificato all'"orgoglio di nazione fenice" da mostrare mentre si attua "l'incedere occhi al mondo": come se la violenza delle proprie sensazioni dovesse essere costretta (negata?), arresa ad un concetto di dignità innato e/o indotto più importante di ogni altra cosa.
Lirica amara, in cui le emozioni (fortissime) vengono incanalate in un linguaggio volutamente misurato: rabbia, impotenza e consapevolezza, sfuggono di tanto in tanto alla penna abile dell'autrice, balzando dalle righe agli occhi di legge. Tre strofe quinarie in versi sciolti, descritte con lessico essenziale e ritmo serrato che si placa nella diagnosi finale dell'ultima strofa ("ora restano") , di incredibile intensità.
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1 commento:
Ma scrivi ancora poesie?
No, perchè sei veramente bravissima!
Io sono rimasta a bocca aperta, nei tuoi versi c'è una profondità incredibile... E' proprio vero che le persone più profonde sono quelle che hanno dovuto attraversare delle difficoltà che ke hanno fortificate e le hanno rese quel che sono...
Spero di rileggere presto qualche altra tua poesia...
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