mercoledì 22 luglio 2009

Crisi dei valori

Stamattina mi sono imbattuta in una bellissima intervista di più di 12 anni fa al Prof. Salvatore Natoli che partiva dal problema della crisi dei valori.
Dato che mi pare che, dal 1997, tale crisi non abbia fatto altro che aggravarsi, trovo interessante riproporvi stralci di tale intervista.

"(...) In tempi antichi, nella cultura medievale, nella società cristiana, i termini erano ben altri, erano: bene e male. C’era l’oggettività del bene che si presentava evidente, assoluta, indiscutibile, non valutabile. Infatti era una società dell’obbedienza. Tommaso diceva: Bonus est facendum (ossia: "il bene è da farsi") e Malum est vitandum: (il male è da evitarsi). Ma non c’era confusione tra bene e male. Perché il bene si sottraeva alla valutazione, era il principio dell’azione, e perciò si sottraeva alla valutazione stessa. Per cui ci sono stati mondi storici in cui la nozione di valore non esisteva affatto.""(...) Molto meno chiaro è, invece, il concetto di valore. Perché, tutto sommato, "valore" è una parola di derivazione abbastanza tarda, e su questo si riflette poco. "Valore" è una parola che proviene dall’Economia Politica. E` un qualcosa che si può scambiare, (per esempio, in economia, si parla di "scambio tra valori"): e quindi e` un termine che implica concetti come valenza, valutazione, e con ciò la "dimensione del valore" è così poco assoluta nella sua stessa provenienza etimologica che è paradossale anche poter parlare di crisi, perché il valore è relativo nella sua stessa origine."

"(...) Io direi che il concetto odierno è un qualcosa che rimette in gioco la soggettivazione del giudizio. Il buono, in fondo, è un qualcosa di deciso - dal -soggetto, il quale non si sente più vincolato a un bene oggettivo. E’ chiaro che questo passaggio nella storia è stato lento, tormentato o, per molti versi, anche fecondo, Quando io compio questo tipo di ragionamento non intendo dire, automaticamente, che l’elemento della soggettivazione abbia costituito di per sé un fatto negativo. Esso ha potenziato anche la libertà umana rispetto a una dimensione fissa del bene che era un qualcosa di pesante come un macigno. Però, accanto alle dimensioni di emancipazione, esistono pure delle tendenze alla perdita dell’identità del bene."

Trovo assai interessante questa divagazione storica sulla contrapposizione dei concetti di valore, bene e male e di come la soggettivazione del giudizio nel definire cosa sia bene e cosa sia male abbia avuto il suo ruolo nella deriva dei valori odierna.
Come dice Natoli tale emancipazione non è, in senso lato, negativa, ma forse, e mi spingo oltre, è necessaria e inevitabile.
La corruzione però che ne deriva è figlia di un concetto di libertà in qualche modo travisato.
Continua infatti Natoli:
"(...) Da una libertà che sceglie il vincolo, e che quindi si vincola (perché sa che senza il vincolo c’è solo delirio), a una dimensione in cui la libertà non vuole vivere solo di se stessa. (...) In questo caso c’è l’anomia, c’è l’attimo, c’è la perdita del tempo. (...) Infatti nella nostra società questa istanza di libertà ha annullato il tempo. Si vive nell’attimo. Si pensi alle stragi del sabato sera….
(...) Allora il codice "al di là del bene e del male" non vuol dire, non può voler dire che noi possiamo vivere senza la distinzione tra il bene e il male, ma vuol dire che: non esiste un qualcosa di dogmaticamente dato come bene o male. Ma dobbiamo di volta in volta costruirlo, vale a dire: di volta in volta dobbiamo autolimitarci. Perché? Perché siamo finiti. Non accettare la misura del limite vuol dire sostanzialmente cadere nell’assurdo, nella invivibilità, nel proseguimento della stessa vita, nell’equivalenza incondizionata, e quindi proprio nella cecità. Perché la perdita della valutazione è una forma di accecamento
."

L'antropologo Alberto Cirese, a sua volta coinvolto nell'intervista, precisa:
"(...) pur condividendo l’importanza storica della soggettivazione, per usare il termine impiegato dal professor Natoli, e la conseguente relativizzazione dei valori, resto dell’idea che una base stabile, anche se non assoluta, su cui effettuare questa valutazione dell’agire, deve poter pur rimanere a portata di mano. La libertà è, e resta, un valore irrinunciabile ma fermo restante, come vincolo di base, il contenuto del famoso detto: "la mia libertà finisce dove comincia la tua."

Questo è, più o meno, il mio medesimo pensiero ovviamente, per quanto comune e scontato magari, eppure ben poco osservato nella Società odierna.
Le persone agiscono in determinati modi perchè possono farlo, ne hanno facoltà e potere e quindi si arrogano diritti che spesso non hanno e vanno a ledere altre persone o, quanto meno, i diritti di altre persone.
Manca quindi un punto fermo, soggettvo magari in senso storico e culturale, ma comunque fermo e irrinunciabile che ponga dei limiti alla libertà.
I valori qui rientrano quindi in gioco.
Un ascoltatore infatti (l'intervista era radiofonica) rimanda a questo punto ad un concetto importante:
"(...) Si spera che questa etica della responsabilità personale possa almeno, diffondersi gradualmente con l’educazione, l’istruzione e la cultura."
Cadiamo quindi sempre nello stesso problema: è una questione di educazione, istruzione e cultura... e direi che attualmente non siamo messi benissimo su questi fronti.

1 commento:

Veggie ha detto...

No, purtroppo non siamo messi bene per niente... Sebbene io non sia totalmente d'accordo sulla possibilità di oggettivizzare il bene e il male, perchè secondo me le cose possono essere "bene" o "male" in funzione del contesto in cui si esplicano... Più che distinguere tra bene e male, ci sarebbe piuttosto da imparare (o ri-imparare) il vero significato della parola "rispetto"...

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